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I RHODES SCHOLARS, QUELLI SULLE ORME DI CLINTON
Studiano a Oxford, ma non si fidano più degli europei. 
Merci M. Chirac
  - 19 marzo 03

   Più che mai adesso, alla vigilia della guerra, è necessario che gli europei che con-dividono le ragioni e i valori dell’Alleanza atlantica si mobilitino per far sentire la loro voce e per far capire agli americani che non siamo un continente d’ingrati voltagabbana. Dobbiamo farlo non solo perché è giusto, ma anche perché è nel nostro interesse. Uno dei fenomeni piú curiosi degli ultimi tempi è che alla preoccupazione quasi ossessiva per le reazioni dell’opinione pubblica nei paesi arabi all’imminente intervento anglo-americano in Iraq, corrisponde il disinteresse per la risposta dell’opinione pubblica americana all’intransigenza franco-tedesca. 

   Da un lato, abbondano, soprattutto sui giornali della sinistra, le speculazioni sull’atteggiamento di quella che molti chiamano la "piazza araba", immagine che un intellettuale come Edward Said ha definito invenzione di orientalisti banali. Dall’altro, c’è l’indifferenza nei confronti dell’opinione pubblica del nostro maggiore e più affidabile alleato. Il motivo è che gli europei ritengono l’alleanza con gli Stati Uniti un fatto naturale, certo e inevitabile come il cambiare delle stagioni. Per questo pensano di potersi permettere il lusso di disinteressarsi  a come reagisce l’opinione pubblica d’oltreoceano. Inoltre, gli europei hanno  spesso la presunzione di capire e conoscere  l’America, e sono convinti che gli americani di Europa sanno poco. A tutto questo si deve aggiungere la forza dell’antiamericanismo, già individuato oltre 70 anni fa da nient’altri che Gramsci come uno dei tratti distintivi del piccolo borghese europeo. Dal 1989 l’antiamericanismo in Europa  è aumentato, alimentato da una delle forze più infide della storia: il risentimento dei vinti nei confronti dei vincitori. Per quegli intellettuali europei che per decenni erano andati in giro a dire che gli Usa erano peggio dell’Urss, o che al più erano come l’Urss, l’89 ha rappresentato un trauma: pochi hanno sfruttato l’occasione per fare autocritica; per tanti è stato solo fonte di accresciuto odio nei confronti del vincitore politico e morale della Guerra fredda. Ma l’atteggiamento nei confronti dell’Europa in America sta cambiando, e il danno fatto all’Alleanza atlantica è grave. 

   I Rhodes Scholars a Oxford sono un termometro del modo di pensare della futura generazione di leader americani; le borse di studio create grazie a un lascito di Cecil Rhodes consentono a 32 americani ogni anno di venire a studiare a Oxford. Rhodes Scholars del passato comprendono Bill Clinton e alcuni degli esponenti principali della sua Amministrzione (Robert Reich, Strobe Talbott), il senatore e candidato alla presidenza Bill Bradley, i capigruppo democratici e repubblicani nella più influente Commissione parlamentare in materia di Affari esteri, il Foreign Relations Committee del Senato, nonché giudici della Corte suprema. La generazione di Rhodes Scholars americani adesso a Oxford lascerà l’Inghilterra e l’Europa con un atteggiamento nei confronti del Vecchio continente diverso dalle generazioni precedenti: in luogo dell’entusiasmo eurofilo di Clinton, delusione e amarezza sono i sentimenti diffusi. Neil Brown, laureatosi a Harvard, ha pochi dubbi: "L’ Europa resterà importante per noi, ma l’irrisolutezza degli europei significa che per noi americani è arrivato il momento di cercare un altro migliore amico in qualche parte del pianeta". Luke Bronin, prima laurea a Yale, dice di sperare che l’America "non decida di ridurre il proprio sostegno all’Europa per ripicca, ma è difficile non avvertire che il senso d’obbligo nei confronti di alcuni nostri alleati europei sia diminuito… Dato il forte passato di sostegno e amicizia tra Europa e Stati Uniti, la posizione di certi paesi europei non può non sembrare a noi americani come un tradimento". Entrambi aspirano a una carriera politica e con ottime probabilità di successo. 

   Queste alcune delle reazioni da parte di chi si trova nel paese in fin dei conti più filoamericano d’Europa, l’unico che dà un contributo militare significativo agli americani nel Golfo. Non avremmo mai dovuto consentire che questa generazione di americani svilupasse certi sentimenti nei nostri confronti. Governanti e politici in Europa devono avere il coraggio di Blair e Aznar e sostenere gli americani, almeno con parole chiare ed efficaci. Gli "atlantisti" – di destra, centro e sinistra – devono capire qual è la posta in gioco e darsi da fare per rimediare al danno prima che sia troppo tardi e per riconquistare la "piazza" e l’élite americane. In Europa abbiamo potuto far affidamento sul sostegno delle forze armate più forti del mondo per proteggere i nostri interessi politici, economici e la nostra sicurezza. Negli ultim 60 anni l’intervento americano ci è stato fondamentale per sconfiggere il nazismo, il  totalitarismo comunista, per salvare i musulmani bosniaci dal genocidio e per aiutre gli albanesi del Kosovo. Per la prima volta nella storia recente i nostri alleati americani si sentono minacciati nella loro sicurezza nazionale. La risposta europea è stata piena di esitazioni e incertezze, di giochetti diplomatici alle spalle, e molti in Europa sembrano più preoccupati di accontentare l’opinione pubblica saudita di quella americana. La conseguenza di tutto ciò è che nel futuro pochi in Europa potranno dare per scontato l’aiuto americano nel momento del bisogno. Merci, Monsieur le President.

Guglielmo Verdirame

(laureato a Bologna, e' docente di Diritto Internazionale a Oxford)